“Mamma, mamma! Lui è il novizio!”
Il noviziato religioso, che io sto vivendo da ormai nove mesi, è un periodo di prova e di formazione della durata di un anno, situato tra il periodo precedente del postulantato (durante il quale, abitando in convento, ho fatto esperienza di cosa sia la vita religiosa e il carisma del mio Ordine domenicano) e il periodo della professione semplice dei tre voti di povertà, castità e obbedienza.
Per noi domenicani, la cerimonia della vestizione e l’intimazione del noviziato segnano l’inizio di questo momento di grazia – il noviziato appunto – che il Signore ha concesso a me e ai miei otto confratelli per riflettere e ‘stare’ con Lui. Ora, al di là delle definizioni e degli aspetti più tecnici, il punto è un altro!
Vi racconto un fatterello che mi è successo! Una domenica di qualche mese fa, incontrai una coppia di sposi che mi chiedeva una benedizione per i loro tre figlioletti. Risposi: «Mi dispiace, ma non posso darvi la benedizione, perché sono un novizio.» Marito e moglie si guardarono perplessi, forse interrogandosi per un attimo su quella strana parola – novizio – che gli avevo pronunciato.
Uno dei figlioletti, però, giocando innocentemente con la corona dell’abito, mi chiese: «Cos’è un novizio?» Tentai allora sul momento di essere il più sintetico possibile nel dirgli qualcosa. A dire il vero, la domanda di quel bambino, come dicevo prima, andò oltre la definizione e fu motivo di profonda riflessione. Cosa, infatti, chiede ad un novizio il Signore nei mesi del noviziato? Non certamente di essere un supereroe pronto a salvare il mondo con le sue sole forze, ma lo invita a essere se stesso.
Sicuramente chiede la riflessione, il silenzio, l’abbandono a Lui, il considerarsi sua creatura. Chiede di lasciarsi plasmare, di non valutare il tempo futuro, di lasciare i propri calcoli nel perseguire i propri intenti e nel realizzare i propri progetti, giacché Egli stesso dice «i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie» (Is 55,8). In una parola, dunque… cosa chiede il Signore, Lui che è il buon Pastore, la vera Vite, la Verità, e a cui, all’inizio di questo cammino, non abbiamo chiesto altro che misericordia? Semplicemente una cosa: di «rimanere» in Lui. E forse, durante tutto quest’anno speciale, l’invito di Gesù è stato proprio: «Rimanete in me ed io in voi… Rimanete nel mio amore» (Gv 15,1-9). Tale affermazione di Gesù è inserita nel discorso della vera Vite e dei tralci, che non è una parabola o un’allegoria, ma una realtà viva proprio perché il Signore stesso, con tono supplichevole, ci impegna a rimanere con Lui; per ben undici volte, infatti, questo verbo è ripetuto in quel passo evangelico e si presenta tanto martellante alle nostre orecchie quanto necessario per la nostra unione vitale con Cristo perché si possa dar frutto. Come il Padre dimora nel Figlio e per mezzo suo compie l’opera di salvezza, così noi dovremmo essere con Gesù come Egli lo è col Padre nell’amore.
Ecco perché questa bella immagine della vite e dei tralci penso sia rappresentativa del cammino che stiamo percorrendo, e l’ho trovata efficace anche per capire l’ideale del domenicano: “rimanere” in Cristo perché Egli sia in noi sorgente di fecondità spirituale in un farsi simili a Lui abbandonandosi nell’obbedienza perfetta alla sua volontà, per poi scendere dai monti dei nostri conventi per essere segno visibile della presenza di Dio. Anche perché non è possibile dare, in nome di Cristo, un frutto che non sia quello nato e nutrito da Lui e coltivato dal Padre.
Come fare, dunque? Bisogna credere e crederci ! Il motore di tutto è la fede e il credere diviene un radicarsi sempre più in Dio nella preghiera! Ci aiuta – a tal proposito – un’altra storiella! Il beato Giacinto Cormier, nel raccontare la biografia del beato Pio Alberto del Corona, scrisse che quando il giovane Pio, il 2 febbraio del 1855, entrò in noviziato presso il convento di San Marco, gli «fu assegnata una celletta povera e stretta, ma aveva sul muro un antico affresco del Beato Angelico raffigurante la Trasfigurazione, e questo soggetto fu per lui un incitamento a “trasfigurare” la sua vita».
Sia questo l’augurio per me e per i miei “compagni di avventura nel noviziato”: sia trasfigurata ogni nostra azione perché diventi in piena comunione con quel Dio-Amore che ci vuole con sé nel Suo Amore! Insomma… qualche settimana fa, incontrai nuovamente quell’allegra famiglia, e mentre si avvicinavano per salutarmi, il figlioletto diceva: «Mamma, mamma! Ti ricordi? Lui è il novizio!»
fr. Giovanni Rosario M. Ferro, O.P.
(novizio domenicano)