"Contemplari et contemplata aliis tradere": un motto che si fa vita
Letture: Gen 12, 1-4 Sal 32 2Tm 1,8-10 Mt 17,1-9
Nel racconto della Trasfigurazione, che ci propone la liturgia in questa II domenica di Quaresima, fermiamoci un istante a considerare la proposta di S. Pietro: «È bene per noi stare qui; facciamo tre tende». Anche se il seguito del testo mostra che tale desiderio non ha avuto attuazione, vi è stato, nella Chiesa, chi ha voluto, per quanto possibile, realizzarlo: « i deserti si riempirono di uomini che facevano professione di vita solitaria, che praticavano la povertà di spirito, che rivaleggiavano negli esercizi spirituali e nella contemplazione di Dio », scrive, commentando il nostro testo, Guglielmo di San Teodorico (Epistula ad fratres de Monte Dei, § 12) e, per secoli, la vita monastica è stata generalmente considerata come lo stato di vita più perfetto. Però, in realtà, non è così.
Infatti, se il dedicarsi alla contemplazione di Dio, nella misura in cui ciò è possibile su questa terra, manifesta senza dubbio un’ardente carità, vi è tuttavia un grado superiore di carità, come insegna S. Tommaso: «L’opera della vita attiva […] che deriva dalla pienezza della contemplazione, come l’insegnamento e la predicazione […] è da anteporre alla semplice contemplazione. Infatti, come è meglio illuminare che non semplicemente brillare, così è meglio comunicare agli altri ciò che si è contemplato che non contemplare soltanto» (IIa IIae, q. 188, a. 6, c.).
Questo grado superiore della carità è quello che ha vissuto S. Domenico e che i suoi figli si sforzano di vivere, ma dovrebbe anche essere l’ideale di ogni cristiano che vive e opera nel mondo. Se veramente amiamo Dio, noi vogliamo conoscerlo sempre meglio; se veramente amiamo i nostri fratelli, noi vogliamo condividere con loro questa conoscenza che è il vero fine dell’uomo: «la vita eterna è che conoscano te, il solo vero Dio, e colui che tu hai mandato, Gesù Cristo» (Gv 17,3).
fr. Daniel Ols, O.P.
Convento S. Maria sopra Minerva, Roma