I manoscritti di Qumran: tra Indiana Jones e Vangelo
I manoscritti di Qumran, almeno per nome, sono conosciuti, dal grande pubblico, e molti di noi ne hanno potuto sentire parlare, magari anche durante una predicazione. Ma cosa sono? Cosa contengono? Perché sono così importanti? Cosa dobbiamo sapere a riguardo? Se lo studio di questi manoscritti è appannaggio degli specialisti, innumerevoli sono le divulgazioni che sfruttano il loro rocambolesco ritrovamento e gli altri “ingredienti” della storia, degni delle migliori sceneggiature d’azione. Purtroppo, molto frequenti sono le manipolazioni che un pubblico non informato fatica a riconoscere. Quanti libri, documentari, e articoli presentano i manoscritti di Qumran come vere e proprie mine che sconvolgono i fondamenti della fede cattolica!
Con questo breve articolo, che riprende una conferenza data nel nostro convento di Cagliari nel giugno del 2009, vorrei rispondere alle domande sopra formulate, e mostrare come i manoscritti di Qumran non solo non mettono in pericolo la nostra fede, ma, al contrario, costituiscono un preziosissimo contesto per lo studio della Bibbia e offrono importanti elementi alla nostra comprensione della Storia della Salvezza.
Dov’è Qumran?
A 15 km a sud dell’oasi di Gerico e 2 km dalla riva attuale del Mar Morto, dei resti di una serie di costruzioni emergono su una terrazza naturale di una falesa, in prossimità di numerose caverne. Non è un sito archeologico particolarmente spettacolare, tanto che per molti anni, non fu oggetto di grande attenzione da parte degli esploratori della fine del XIX secolo che pur vi erano passati. Questo aspetto modesto congiunto al deserto che lo circonda, però, ci ingannano sul contesto di questa regione: nell’epoca che va dal primo secolo avanti Cristo al primo secolo dopo Cristo, la regione ospitava diverse industrie legate alle ricchezze del Mar Morto (bitume e sale) e piccole produzioni agricole che sfruttavano le sorgenti ed i wadi che costellano le due rive del Mar Morto, dove c’erano diversi porti che assicuravano i trasporti navali, in quelle zone, ben più pratici e veloci di quelli via terra.
Il primo attore di questa saga è un giovane Beduino, Mohammad edh-Dhib, della tribù beduina dei Ta’amireh. La leggenda che è nata intorno alla scoperta dei manoscritti di Qumran vuole che Mohammad, nell’estate del 1947, intento a cercare una delle sue capre perduta durante il pascolo quotidiano, abbia lanciato un sasso dentro una grotta, ricevendo come risposta, non il belato della sua capra, ma un rumore sordo di cocci rotti, all’udito del quale, incuriosito sarebbe entrato ed avrebbe scoperto un primo “tesoro” di giare e di manoscritti. In realtà, le prime descrizioni date dallo stesso Mohammad, parlano di un poco invitante “ammasso granuloso e rossastro e, in una delle giare, tre rotoli di cuoio coperti di scarabocchi”. Per di più, l’occasione della scoperta sarebbe stata piuttosto la ricerca da parte del nostro Beduino di un luogo per nascondere la sua merce (o forse la sua refurtiva), piuttosto che una bucolica ricerca di una capra perduta. Già cominciamo a subodorare la nascita di una leggenda!
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fr. Riccardo Lufrani, O.P.