Per Te solo
O mio Dio! Se ti ho adorato per paura dell'inferno, bruciami nel suo fuoco. Se ti ho adorato per speranza del paradiso, privami di esso.
Ma se ti ho adorato che per te solo, non privarmi della contemplazione del tuo volto.
Rabia
Diverse forme di mistica islamica si sviluppano sin dal VII secolo: detti in arabo 'sufi' erano in origine asceti. La vicenda dei più famosi tra questi è preceduta da una preistoria che affonda le sue origini quasi contemporaneamente all'emergere dell'Islam. Vestivano con abiti semplici di lana e venivano chiamati anche 'i poveri', in arabo faqir, in persiano darwesh, da cui le parole italiane fachiro e derviscio. Era esperienza di singoli, uomini e donne che spesso si ritiravano. Non coltivavano la tristezza o la rinuncia, piuttosto nella loro esperienza era esaltata l'unione con Dio nella gioia e il rimanere in Lui. La musica, la danza rituale, ma soprattutto il pensiero di Dio, il dhikr Allah, l'invocazione incessante di Dio nei suoi molti nomi, in forma litanica, è coltivato, anche al di là e in contrasto con le altre pratiche e osservanze religiose, inaccettabile da parte dei custodi dell'ortodossia. Una religione del cuore per trasformare ogni desiderio egoistico, anche religioso, in fuoco dell'amore divino. La tensione di questi asceti che si diffondono soprattutto nell'area di Bassora, la 'Venezia degli arabi' tra il Tigri e l'Eufrate, è fondata sul Corano, sul riferimento al profeta e sulla vita della prima comunità dei musulmani: mirano a fuggire le gioie effimere della gioia terrena e di cogliere invece nella realtà materiale i segni deposti da Dio nella creazione: "In verità Dio non si vergogna di usare come esempio anche un moscerino o qualcosa di ancora più piccolo. Quelli che credono sanno che è verità che viene dal loro Signore" (Corano 2,26). "Ma il Signore è in mezzo a loro, in ogni loro moto, in qualunque momento è dentro i loro stati. / Neppure per un batter di ciglia sono prive di lui, oh se sapessero! neppure per un istante da loro Egli s'assenta" (al-Hallaj). La memoria dei segni conduce al ricordo di Dio, coltivato nel dhikr, corrispondente alla pratica della preghiera ininterrotta presente anche nella tradizione ascetica cristiana. Nel Corano c'è traccia di questo riconoscimento "tra la gente del Libro c'è una comunità retta: recitano i segni di Dio durante la notte e si prostrano in adorazione" (Corano 3,113). Le prime generazioni di mistici dell'Islam coltivano quindi l'attesa di Dio, l'attenzione contemplativa sulla creazione e la preghiera continua. Il riferimento a Muhammad coglie in lui non solo il suo essere profeta, legislatore e capo militare ma soprattutto la sua esperienza mistica: "Gloria a colui che di notte fece viaggiare il Suo servo dalla santa moschea alla moschea remota ... per mostrargli qualcuno dei nostri segni" (Corano 17,1). In un detto di Rabi'a si legge: "Che amore hai per l'Inviato? Rispose: Lo amo di grande amore, però l'amore per il Creatore mi distoglie dall'amore per le creature". Una donna, una musulmana, schiava, una mistica: Rabi'a è tutto questo, una delle figure più affascinanti della tradizione mistica islamica. Visse a Bassora nell'VIII secolo nella terra che è oggi l'Irak martoriato. Nata in condizioni povere, rinunciò a possedere beni e si ritirò in una capanna a Bassora luogo di attrazione di molti asceti che rimasero affascinati dal suo insegnamento. La sua intensità di preghiera la condusse a rinunciare alle nozze, esempio rarissimo nella tradizione islamica, e ad ogni altro bene. L'intuizione di fondo della sua vita era che Dio solo dev'essere cercato liberandosi dall'interesse: "Servire Dio per amore di lui e non per ricerca di premio o di ricompensa". Si narra che fu vista un giorno correre per le strade della città con una fiaccola in una mano ed un secchio d'acqua nell'altra. A chi le chiedeva cosa significasse questo ella rispondeva: "voglio incendiare il paradiso e spegnere l'inferno perché questi due veli spariscano e i suoi servi Lo adorino senza sperare ricompense e senza temere castighi"."In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi" (1Gv 4,10) - Alessandro Cortesi op
(rubrica a cura di fr. Vincenzo Caprara, O.P.)
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