DOMENICANI

Provincia Romana di S. Caterina da Siena

Preghiera di un ribelle

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Tu non esisti, io lo so non voglio nemmeno parlare di te. Tu non sei che una pericolosa invenzione. Hanno talmente ucciso e umiliato in nome tuo. Tu non sei più reale della statua di un re. Mi hanno insegnato a forza di punizioni tutto l'«amore» che ha ispirato le tue leggi.

E tu vorresti oggi che io creda al tuo perdono! Se tu esistessi, mi daresti la fede, non la dittatura di una religione. Pare che tu sia venuto per i poveri che non hanno un tetto. Tuttavia di fronte alle porte chiuse della tua Chiesa, io tremo terribilmente e il mio cuore sanguina di freddo. Anche sul marciapiede, la mia presenza scandalizza. Io non sono forse degno di te n del tuo calore. Allora, perché affermare che tu accogli anzitutto il peccatore? Se tu esistessi, accetteresti le mie debolezze e verresti a saziare la mia fame di tenerezza. Sono molti che mi parlano del tuo amore, ma quando tendo loro la mano, cambiano strada. Hanno paura di amarmi per rinnegarti facilmente? Io non chiedo loro l'abbondanza del loro granaio. Ho semplicemente bisogno di un po' di speranza. Per tutta la vita, ho detestato il tuo silenzio. Ed ecco che, questa sera, mi sorprendo a pregarti come se non sapessi più... Non sapessi più resisterti.

Francois Gervais

In questa preghiera intendiamo occuparci delle “maschere” di Dio, ovvero delle false rappresentazioni di Lui che sono diffuse nel nostro immaginario religioso, individuale e collettivo, e che costituiscono una vera, seppur inconscia, mistificazione della bellezza della Rivelazione. Si tratta di un tema di centrale importanza, perché avere una falsa immagine di Dio costituisce la più grande schiavitù in cui l’uomo possa cadere. Non a caso la Scrittura denuncia ripetutamente il peccato d’idolatria, l’invenzione di divinità che non esistono e che sono la proiezione nella sfera del divino dei desideri e delle ambizioni dell’uomo. Da tale schiavitù, prima e più che da ogni altra, ha inteso liberarci il Signore, aprendoci l’accesso all’intimità con il Padre suo nella maniera più intensa possibile: “Filippo, chi ha visto me, ha visto il Padre” (Gv.14, 9). Eppure un’analisi del nostro vissuto religioso porta a concludere che l’uomo pagano che sopravvive in noi distoglie troppo spesso gli occhi da Gesù, in cui il Padre si dà a conoscere, per continuare a rappresentarsi Dio diversamente, come una realtà lontana e minacciosa, che incombe dall’alto sulla nostra esistenza, creando una zona d’ombra in cui si può vivere solo nella paura… “Dio ti vede”. Per quanti, anche di coloro che si riconoscono discepoli del Signore e ascoltano la sua parola, quest’affermazione più che presentarsi come una lieta notizia, risuona come un’oscura minaccia! In quante persone l’idea di essere guardati da Dio suscita più inquietudine che consolazione, come se il suo sguardo ponesse all’uomo un ultimatum: “Sta’ attento, perché ti vedo! O ti pieghi a fare il mio volere, o non hai scampo!”

 

(rubrica a cura di fr. Vincenzo Caprara, O.P.)

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