Assurdità
Se il cristianesimo viene spogliato delle sue assurdità per renderlo gradito al mondo, cosa ne rimane?
Voi sapete che la ragionevolezza, il buon senso, le virtù naturali esistevano già prima di Cristo e che si trovano anche ora presso molti non cristiani. Cosa ci ha portato Cristo in più? Appunto alcune assurdità. Ci ha detto: Amate la povertà, amate gli umiliati e gli offesi, amate i vostri nemici, non preoccupatevi del potere, della carriera, degli onori, delle cose effimere, indegne di anime immortali.
Ignazio Silone
Un cristiano assurdo è al centro de L'avventura di un povero cristiano, l'ultima opera di Ignazio Silone, "cristiano senza chiesa e comunista senza partito", come amava definirsi , composto nel 1968, anno quanto mai carico di peso storico. Protagonista è Pietro da Morrone, l’eremita abruzzese che tra molti ripensamenti alla fine accettò di divenire papa col nome di Celestino V. Il suo breve pontificato lo mise di fronte a una forte pressione politica, nelle mani di di uno scaltro esperto degli affari curilai quale era l’allora cardinale Benedetto Caetani suo successore poi col nome di Bonifacio VIII. Breve la sua esperienza sul soglio pontificio, lunga la fama di ‘ignavo’ per aver fatto “ per viltade il gran rifiuto” ( se Dante allude a lui nel terzo Canto dell’inferno). Al centro la vicenda di Celestino V, santo, al secolo Pietro da Morrone, l'eremita abruzzese eletto Papa che abdica nel 1294 dopo pochi mesi di pontificato e alcuni tentativi poco riusciti di riforma della Chiesa. Dopo di lui arriverà Bonifacio VIII, da Dante collocato nell'Inferno (come severamente pone nell'Antinferno, probabilmente, Celestino). La figura di Pietro da Morrone è tornata alle cronache nel 2013, dopo le dimissioni di Benedetto XVI. Silone lo riscopre nel 1968, anno quanto mai carico di peso storico: egli segue nella sua drammaturgia la storia dell'elezione e del pontificato, fino alla fuga di Celestino e alla cattura ordinata da Bonifacio VIII, dando veste teatrale agli eventi di quei mesi storici. Al centro vi è un unico grande tema, incarnato dall'eremita e dai suoi sostenitori: la radicalità evangelica. In quest'ottica può essere letta l'intera narrazione: vi è un uomo che ascolta la Parola di Dio e che crede fino in fondo ad essa, un uomo che vive appartato, in un "deserto", mentre i potenti litigano sulla spartizione di prebende e posti in prima fila, fino a quando lo Spirito soffia nella sua direzione. In un contesto in cui il tradimento del Vangelo è all'ordine del giorno, l'eremita prende "Cristo sul serio" e si scontra con chi usa quel Cristo per i propri fini. Alla fine verrà schiacciato dagli ingranaggi del potere, che oggi potremmo chiamare "macchina del fango" Nulla di nuovo sotto il sole, purtroppo, se la sua figura è stata evocata in occasione delle dimissioni di Benedetto XVI nel 2013 . Assurdo dovette sembrare allora il suo rifiuto al godimento del potere, al prestigio su tutto il mondo cristiano, alla ricchezza congiunta a quel trono divenuto troppo umano. Un’assurdità, come disse poi Petrarca per uno “spirito altissimo che non conosceva imposizioni [...], spirito veramente divino”. Celestino fa un sofferto passo indietro, nella sua umiltà, che non è viltà, perchè testimonia che ci sarà sempre qualcuno che crede radicalmente al Vangelo ed è disposto a “perdere la faccia” di fronte al mondo in nome della coerenza .
(rubrica a cura di fr. Vincenzo Caprara, O.P.)
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