Il “Discorso sulla Montagna”: Come riuscire ad amare, oggi, il nostro nemico
Riflessione sulle letture della Settima Domenica del Tempo Ordinario, 19 febbraio 2023
Letture: Lv 19,1-2.17-18; 1 Co 3,16-23; Mt 5,38-48
Il Vangelo di questa domenica si situa all’interno del “Discorso sulla montagna” che Matteo presenta nei capitoli 5-7 del suo Vangelo. Nel cuore stesso di questo Discorso (5,17-48), Gesù ci propone uno sguardo e un atteggiamento totalmente nuovo: una giustizia nuova. Mette a confronto la giustizia “degli scribi e dei farisei” (v.20) con una giustizia che lui presenta come “compimento della Legge e dei Profeti” (v.17).
Per ben 6 volte, Gesù si afferma come uno che ha autorità e si permette di sorpassare l’autorità della tradizione! “Avete inteso… ma io vi dico…”. Introduce un’antitesi, un movimento di contrapposizione. Ci spinge ad una rilettura della Legge con occhi e mentalità nuovi e ci invita a scavare in profondità. I nostri rapporti con gli altri non si misurano più solo a livello di una legge sociale o morale ma vengono giudicati a livello della nostra intenzionalità profonda e segreta. Ce ne discopre anche la finalità: essere perfetti, perché siamo figli del Padre, lui “che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni” (v.48). Dio non entra nelle nostre categorie di giusti e ingiusti. Tutti siamo suoi figli amati e dunque dobbiamo adeguare i nostri atti a questa misura: l’altro, qualunque altro, è un mio fratello in Cristo. La seconda lettura di san Paolo completa questa visione. La nostra vita ha un solo scopo, appartenere a Dio nostro Padre: “Tutto è vostro, ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio” (1 Co 3, 22-23). Solo così si capisce perché Gesù ci chiede di essere santi. E risalendo all’inizio del Discorso, in Matteo, scopriamo che questa santità e perfezione è la nostra stessa beatitudine. Vivere da figli come Gesù, il Figlio per eccellenza - e lasciarci plasmare da Dio - ci rende beati e felici!
“Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente” (v.38). Questa legge del taglione si ritrova anche in altri codici antichi. Permette di evitare un ciclo di violenze e di vendetta che potrebbe proseguire solo in crescendo. È stato il primo passo per introdurre una certa giustizia e in questo senso era stato positivo. “Ma io vi dico di non opporvi al malvagio” (v.39). Gesù apre una via diversa, più personale, più impegnativa. Sviluppa alcuni atteggiamenti indirizzandosi ad ogni persona, ad ognuno di noi: tu, porgi l’altra guancia; tu, lascia anche il mantello; tu, fai due miglia con lui. Infine non solo chiede di non rispondere alla violenza ma addirittura di metterci semplicemente a disposizione di chiunque ci domanda qualcosa (v.42).
“Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico” (v.43). Siamo all’ultima antitesi proposta da Gesù, è come il culmine che fissa il nostro sguardo sull’amore e sul perché dell’amore. La prima parte della proposizione viene dal Levitico (19,18) e ci è proposta nella prima lettura di questa domenica. Sottolinea che l’amore per il prossimo è motivato dal fatto che Dio è santo. Il Signore che parla a Mosè offre al suo popolo di diventare santo come lui. “Siate santi, perché io, il Signore, Dio vostro, sono santo” (Lv 19,2). Diventare simile a lui, non come lo proponeva il tentatore ad Adamo per opporsi a Dio, ma come una chiamata ad unirsi sempre più a lui nell’amore. La seconda parte sull’odio al nemico ci può lasciare perplessi, addirittura scioccati! Di fatto, un’espressione così tagliente non esiste nell’Antico Testamento. Sembra che Gesù voglia esagerare il paradosso per farci reagire. Ma spesso, nella mentalità di allora – e tante volte lo pensiamo anche noi oggi – chi compiva il male diventava nemico di Dio e dell’ebreo osservante. Qui Gesù introduce una novità assoluta: “Amate i vostri nemici” (v.44).
Come amare un nemico? È possibile? Solo se capiamo che l’amore è un dono totalmente gratuito che Dio ci regala, è lui stesso. E ci chiede di accogliere questo stesso amore. Il primo atto di amore che forse possiamo fare per un nemico è quello di pregare per lui. È un atto che pian piano ci libera dal rancore, dall’odio, dal desiderio di vendetta. Ma per attuarlo, dobbiamo guardare a Gesù. È lui che, per primo, ci insegna a pregare per i nemici, per i persecutori. Sulla croce, pregava dicendo: “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34). Forse abbiamo la tentazione di pensare che per Cristo fu più facile, essendo Figlio di Dio. Chi si è lasciato toccare e invadere dall’Amore di Dio ha potuto seguire Gesù fino in fondo. Ascoltiamo santo Stefano, cosa grida prima di morire: “Signore, non imputar loro questo peccato” (Atti 7,60). E con lui tanti altri cristiani lungo i secoli. Uno degli ultimi è padre Christian De Chergé (priore dell’Abbazia di Tibhirine, ucciso con altri sei monaci trappisti in Algeria nel maggio 1996). Leggendo il suo Testamento spirituale, lasciamoci interrogare sul nostro atteggiamento di fronte a chi ci perseguita o ci dà fastidio e chiediamo allo Spirito Santo di lasciarci convertire.
“Se mi capitasse un giorno – e potrebbe essere oggi – di essere vittima del terrorismo che sembra voler coinvolgere ora tutti gli stranieri che vivono in Algeria, vorrei che la mia comunità, la mia Chiesa, la mia famiglia, si ricordassero che la mia vita era “donata” a Dio e a questo paese. Che essi accettassero che l’unico Signore di ogni vita non potrebbe essere estraneo a questa dipartita brutale. Che pregassero per me: come essere trovato degno di una tale offerta? Che sapessero associare questa morte a tante altre ugualmente violente, lasciate nell’indifferenza dell’anonimato. (…) Venuto il momento, vorrei poter avere quell’attimo di lucidità che mi permettesse di sollecitare il perdono di Dio e quello dei miei fratelli in umanità, e nello stesso tempo di perdonare con tutto il cuore chi mi avesse colpito. (…) E anche te, amico dell’ultimo minuto che non avrai saputo quel che facevi. Sì, anche per te voglio questo “grazie”, e questo “a-Dio” nel cui volto ti contemplo. E che ci sia dato di ritrovarci, ladroni beati, in Paradiso, se piace a Dio, Padre nostro, di tutti e due. Amen! Inch’Allah. Algeri, 1° dicembre 1993”
Sr. Teresa Boillat, Congregazione Romana di san Domenico