Innamorati: dal disegno di Dio agli scarabocchi degli uomini
Alla vigilia della festa degli innamorati, parlando per ministero e leggendo sull’argomento, ho pensato che potesse essere interessante condividere alcune considerazioni, di vari autori che ho raccolto e riflessioni/sintesi personali fatte su questo tema così sensibile, qual è quello dell’amore e dell’innamoramento. Quindi nessuna pretesa di originalità, ma proposta di fermarsi e riflettere alla luce della Parola di Dio, con il desiderio sincero di lasciarsi trovare dalla verità (cf sant’Ambrogio), e quindi di fare verità nella propria esistenza. In questa prospettiva sulla questione, risulta a tutt’oggi illuminante ed istruttivo quanto detto nell’omelia, durante la santa Messa per le famiglie a Kinshasa (Zaire) il 3 maggio 1980, da san Giovanni Paolo II: “Se il matrimonio cristiano può essere paragonato ad una montagna molto alta che pone gli sposi nell’immediata vicinanza di Dio, bisogna riconoscere che la sua scalata richiede molto tempo e molta fatica. Ma sarà questa una ragione per sopprimere o per abbassare tale vetta? Non è attraverso ascensioni morali e spirituali che la persona umana si realizza in pienezza e domina l’universo più ancora che per mezzo dei record tecnici e spaziali per quanto ammirevoli siano?”. Infatti, la fede permette di allargare il panorama della vita anche dopo il nostro pellegrinaggio su questa terra, nella rivelazione di un Dio che non ci rimprovera di cercare il piacere, ma di non riuscirci, mancando così la vera gioia e la vera felicità.
Il disegno d’amore di Dio
Nudità e sessualità
Rimane un dato oggettivo e incontrovertibile che l’essere umano si dà nella differenza fondamentale, biologica, tra sesso maschile e sesso femminile. Le altre differenze, pelle, nazione, cultura sono marginali e secondarie, in ogni caso sono sempre successive. Biblicamente (cf Fernando Armellini) questa condizione di diversità e al tempo stesso di non completezza è indicata con il termine e il concetto di nudità, a voler rimarcare che non si è stati creati e non si nasce autosufficienti. Senza l’altro/a non ci si realizza perché non è possibile completarsi. Per questo i nostri progenitori all’inizio, al contrario di quanto avverrà dopo il peccato originale (cf Gn 3,7;10), non provavano vergogna (nel senso che non si sentivano dei falliti, non la vivevano come una limitazione mortificante: cf Gn 2,25) L’uomo non sentiva la propria insufficienza, la propria natura bisognosa degli altri, come qualcosa di negativo da combattere e vincere. A ben vedere Dio ci ha fatti limitati, incompleti per essere in grado di amare. In questo senso ci ha creati veramente bene al fine di ‘dover’ andare verso gli altri, ed è proprio in questa limitatezza che esige di completarsi, che trova il suo fondamento la natura sociale dell’essere umano: ognuno ha un bisogno effettivo ed affettivo dell’altro/a e questo nei diversi ambiti e livelli come la famiglia, il lavoro, l’amicizia, il matrimonio. Nel racconto della creazione questa verità è confermata quando leggiamo che dopo ben sette volte Dio vide che quanto aveva creato era buono, dichiara che non è bene che l’uomo sia solo (cf Gn 2,18). Non è bene che l’uomo sia solo perché non si umanizza, non si realizza come uomo. Ecco il significato biblico della sessualità: immagine di quella diversità limitata che è una ricchezza in quanto occasione di scambiarci ciò che ciascuno ha ricevuto in dono (cf 1Cor 4,7). Del resto, per fede, sappiamo che Dio stesso pur essendo unico non è solitario nella Trinità delle persone divine, sempre in relazione tra loro in un rapporto d’intima comunione.
La cultura oggi dominante vuole autoconvincersi e convincere che la realizzazione di un sé sessuale privo di complessi, sia il prerequisito per la crescita, per la maturità, il successo e la vera libertà dell’uomo moderno. Ma recentemente è stato giustamente osservato: “Mi ci sono voluti anni per capire che, in realtà, il processo funziona al contrario; che non ha senso esperienziale attribuire autonomia orientativa all’istinto sessuale, come se fosse una forza naturalmente ordinatrice destinata ad allineare a sé altri aspetti del proprio essere in un disegno armonioso. La sessualità umana richiede una struttura della personalità su cui crescere, fiorire, e fruttificare …” (E. Varden, Castità. La riconciliazione dei sensi).
Genitalità
Quindi, la sessualità, come la cogliamo dalla Rivelazione, è compresa come ciò che ci spinge/ci dispone/ci abilita ad uscire da noi stessi verso gli altri per completarci donandoci e questo a diversi livelli e in diversi ambiti. Questa esigenza viene dalla diversità limitata con la quale veniamo al mondo, che richiede lo scambio dei differenti doni per completarci e così pienamente realizzarci.
In questo contesto della sessualità, riconosciuta, accettata, accolta e vissuta come vocazione ad andare verso gli altri, si colloca la genitalità che non deve essere confusa con la prima. Anche se non ci pensiamo quasi mai, lo stesso Cristo ha vissuto la sua sessualità in quanto ha donato la sua vita, ma non ha esercitato la genitalità. Infatti, nella struttura della personalità umana, la genitalità è un modo specifico e importantissimo, un dono prezioso di Dio, di realizzare la sessualità fra un uomo e una donna che si danno reciprocamente in un rapporto sponsale aperto alla vita. Rapporto che presuppone, per essere vero, un impegno totale e definitivo tra loro, altrimenti il linguaggio d’amore della genitalità diventa bugiardo, falso, mistificatore, che cosifica e fa dell’altro/a un mero oggetto, un mezzo e non un fine. Da qui la conclusione che troviamo nei Vangeli: l’uomo non separi ciò che Dio ha unito (verbo usato in greco come ‘passivo divino’: è Dio che li unisce). Quindi, il divorzio non rientra nel disegno di Dio, ma è uno dei nostri tanti scarabocchi, come ultimamente quello di arrogarsi il ‘diritto per legge’ di porre fine alla vita, non solo al suo nascere, ma anche del suo concludersi. Allora la sfida non solo per i farisei, ma anche per i discepoli di Cristo di ieri (cf Mc 10,10-12) e di oggi, è accogliere il disegno d’amore di Dio.
Da quanto fin qui sommariamente esposto, nella prospettiva della Rivelazione la questione non è quindi prima di tutto giuridica, non si tratta di una norma esterna creata dagli uomini (indissolubilità o l’esistenza di una legge umana che permette il divorzio, ecc.), ma è la realtà stessa dell’amore che per sua natura, intrinsecamente, è incondizionato, senza riserve e non può essere ‘a tempo determinato’, tra un uomo e una donna (diversità che si completano in un amore aperto alla vita) che non sono più un io e un tu, ma un noi e quindi non possono che desiderare il bene dell’altro perché in questo è esattamente il loro bene! (questo significa che bisogna rivedere l’attuale idea di amore come mero sentimento/emozione che ad un certo momento finisce, insieme con il desiderio).
Il vero amore, nel disegno di Dio, non possiede l’altro, ma fa di tutto perché l’altro cresca e sia felice. Questo è il disegno di Dio sull’amore tra un uomo e una donna. Solo rifacendoci a questo disegno possiamo avere la risposta su come viviamo la nostra sessualità e genitalità. Onestamente dobbiamo confrontarci con questo disegno e non con le ideologie del tempo che passa e che vede sempre l’egoismo dei più forti, anche per il solo fatto di essere semplicemente nato prima, a imporsi sui diritti dei più deboli e soprattutto vuole sostituirsi al progetto di Dio (cf Gn 3,5).
I nostri scarabocchi
Dato che questo è il disegno di Dio, non dovrebbe essere difficile per ciascuno comprendere tutte le scelte e i comportamenti che non realizzano questo disegno, in quanto ‘cosificano’ e strumentalizzano la persona come mero oggetto di piacere. In questa prospettiva vanno compresi, così come fa il Catechismo della Chiesa Cattolica (cf Art. 6, nn. 2331-2400), il VI Comandamento e il passo di Mt 5,27-29: “Avete inteso che fu detto: Non commettere adulterio; ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore. Se il tuo occhio destro ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo via da te: conviene che perisca uno dei tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geenna”. Tenendo ben presente che questa non è l’inferno, ma era l’immondezzaio di Gerusalemme, quindi l’espressione era usata dai Rabbini per ammonire le persone a non gettare via la propria vita con comportamenti contrari alla dignità della persona.
Quanto abbiamo fin qui visto dovrebbe aiutarci a distinguere tra amore, come donazione che ha le caratteristiche proprie della totalità e del per sempre, con i sentimentalismi, i desideri e le tante emozioni (meglio conosciuti oggi con le espressioni ‘io sento/io non sento) che in quanto tali sono legati a momenti e situazioni che inesorabilmente sono passeggeri e svaniscono più velocemente di quanto si possa credere. Come ci ricorda il salmo, gli uomini con le loro emozioni: “… sono come l’erba che germoglia al mattino: al mattino fiorisce, germoglia, alla sera è falciata e dissecca” (Sal 82,5-6). Rimane un dato incontrovertibile e intangibile: Dio ci ha creati liberi e ciascuno di noi può scegliere e fare ciò che vuole, ma rimane altrettanto vero che non tutto ci realizza umanamente e che molte cose scelte in nome della libertà ci rendono di fatto dipendenti se non addirittura schiavi, in ogni caso non delle persone veramente libere. (cf Gal 5,13; 1 Pt 2,16; 2 Pt 2,19).
Non a caso Marco presenta i bambini (cf 10,13-16) con l’ammonimento di Gesù che: “… chi non accoglie il regno di Dio come l’accoglie un bambino, non entrerà in esso” (10,17). È proprio vero che solo chi, come il bambino, dipende in tutto e per tutto dai genitori, può accogliere il disegno di Dio sull’amore umano con la fiducia che è certezza che quanto ha voluto è il vero bene e la nostra vera felicità, anche se è esigente e impossibile da realizzarsi con le nostre sole forze. Però nella fede sappiamo che ciò che è impossibile agli uomini si rende possibile con l’aiuto di Dio, perché nulla è impossibile a Dio in quanto non esclude mai nessuno dal suo amore (cf Mc 10,27; Mt 19,26; Lc 18,26). Al riguardo mi ritornano alla mente le parole di san Giovanni Paolo II che suonano così vere: l’amore non si può insegnare, ma non c’è cosa più importante da imparare nella vita! (cf Varcare la soglia della speranza).
Conclusione
Allora: cosa fare e dove siamo chiamati ad arrivare? Dobbiamo proprio chiedere con umiltà l’accoglienza propria dei bambini per poter imparare ad amare il disegno di Dio. In tutta la mia vita e soprattutto nei miei quasi trentanove anni di ministero sacerdotale, non ho visto mai nel campo dell’affettività e della genitalità cambiare comportamento per paura di chissà quale castigo da parte di Dio ovvero dei giudizi della gente, ma ho visto più di qualcuno cambiare perché ha sperimentato il non senso di ciò che faceva, sperimentando che stava sprecando qualcosa di bello e prezioso, soprattutto che c’era qualcosa di migliore e di unico, e con la grazia di Dio, con tanta umiltà e onestà, si è alzato per incontrare e trovare un Padre misericordioso che da sempre lo stava aspettando. Questo non è altro che il grande insegnamento della parabola del ‘Figliol prodigo’, che più propriamente dovrebbe essere denominata del ‘Padre misericordioso’. “Allora rientrò in se stesso e disse: Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni. Partì e si incamminò verso suo padre. Quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Ma il padre disse ai servi: Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l’anello al dito e i calzari ai piedi. Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. E cominciarono a far festa” (Lc 15,17-24).
Indiscutibilmente, oggi come ai tempi di Gesù, il disegno di Dio si scontra con l’unica regola che sembra esistere nelle relazioni affettive, manifestazione di quel soggettivismo morale e giuridico che ci distingue, cioè semplicemente fare ciò che mi piace. Questo si traduce, confondendo sessualità e genitalità, che chiunque può fare sesso quando, come e con chi vuole, alla sola condizione che l’altro sia consenziente! La mentalità che s’impone attraverso i vari mezzi di comunicazione è che bisogna fare solo ciò che rende felice il singolo, che bisogna essere e fare tutto ciò che si vuole per essere liberi. Lo slogan di moda è: “se si vogliono bene!”. Ignorando così volutamente che se è vero che possiamo fare tutto, ma non tutto ci realizza umanamente (cf Rm 1,24-32; 1 Cor 10,23), che la nostra sessualità/genitalità non è meramente fisica o biologica, ma essenzialmente e principalmente umana. Siamo chiamati a viverla da uomini e non come gli animali irrazionali: gli esseri umani amandosi, si conoscono, si uniscono, procreano, mentre gli animali semplicemente si accoppiano e si riproducono per istinto e senza consapevolezza. Quindi, la sessualità non è un gioco e i genitali non sono dei giocattoli, ma sono un linguaggio d’amore con il suo ‘alfabeto’, la sua ‘grammatica’ e le sue regole che non possono essere ignorate, pena la sua perdita di significato e l’incomunicabilità. Un po’ come quando vediamo una persona parlare da sola: cosa pensiamo? Se ignoriamo queste verità, si sperimenterà la banalizzazione e la riduzione della genitalità a livello meramente fisico e come fonte di piacere egoistico fine a se stesso, e non in una relazione di vero amore oblativo, che si perde e si realizza pienamente nell’altro/a.
Ovviamente più di qualcuno alla presentazione del progetto iniziale di Dio sulla sessualità, la genitalità, il matrimonio e la famiglia – che la Chiesa cattolica ha la mera missione di proporre, annunciandolo con fedeltà – starà pensando che i suoi contenuti non sono al passo con i tempi, che oggi i giovani, e non solo, hanno un’altra mentalità ed un’altra visione del modo, della sessualità e dell’amore. Per non parlare delle obiezioni visti i tanti scandali di sacerdoti, religiosi/religiose. Però, prima di tutto, rimane aperta la risposta alla domanda: è migliore il disegno di Dio o piuttosto i nostri ripetuti scarabocchi? Allo stesso tempo se qualcosa è vera e giusta in sé, rimane valida anche se quel poveretto/a non la vive.
Inoltre, all’obiezione di una Chiesa che non è al passo con i tempi, si potrebbe rispondere allo stesso modo di Gilbert Keith Chesterton: la Chiesa non deve essere al passo con i tempi ma, al contrario, essa deve dettare il passo (nella misura in cui rimane fedele al ‘depositum fidei’ che ha ricevuto come amministratrice), deve gettare il seme in un tempo di oscurità e confusione ed attendere pazientemente che tutto questo un giorno fruttifichi. E ancora sottolineava come “…non abbiamo bisogno, come dicono i giornali, di una Chiesa che si muova col mondo. Abbiamo bisogno di una Chiesa che muova il mondo”. Prima di tutto dobbiamo permettere a questo seme di essere accolto nel proprio cuore attraverso un’onestà di fondo che cerca sempre e con umiltà: “… tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri. Ciò che avete imparato, ricevuto, ascoltato e veduto in me, è quello che dovete fare. E il Dio della pace sarà con voi!” (Fil 4,8-9).
Fermo restando che sempre: ”Per svolgere questo compito, è dovere permanente della Chiesa di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo, così che, in modo adatto a ciascuna generazione, possa rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso della vita presente e futura e sulle loro relazioni reciproche. Bisogna infatti conoscere e comprendere il mondo in cui viviamo, le sue attese, le sue aspirazioni e il suo carattere spesso drammatico. Ecco come si possono delineare le caratteristiche più rilevanti del mondo contemporaneo. L’umanità vive oggi un periodo nuovo della sua storia, caratterizzato da profondi e rapidi mutamenti che progressivamente si estendono all’insieme del globo. Provocati dall’intelligenza e dall’attività creativa dell’uomo, si ripercuotono sull’uomo stesso, sui suoi giudizi e sui desideri individuali e collettivi, sul suo modo di pensare e d’agire, sia nei confronti delle cose che degli uomini. Possiamo così parlare di una vera trasformazione sociale e culturale, i cui riflessi si ripercuotono anche sulla vita religiosa. […] È dovere di tutto il popolo di Dio, soprattutto dei pastori e dei teologi, con l’aiuto dello Spirito Santo, ascoltare attentamente, discernere e interpretare i vari linguaggi del nostro tempo, e saperli giudicare alla luce della parola di Dio, perché la verità rivelata sia capita sempre più a fondo, sia meglio compresa e possa venir presentata in forma più adatta” (Gaudium et spes, 4; 44). Coscienti che dobbiamo essere attenti ai segni dei tempi, leggerli umilmente nella fede, ma per essere così un segno per i tempi in cui viviamo! Questa è la missione evangelizzatrice che Cristo ha trasmesso alla Chiesa e quindi a ogni battezzato (cf Mt 28,19-20).
Allora il primo è più urgente compito della pastorale oggi, è quello di annunciare e testimoniare la bellezza del disegno creatore di Dio sulla sessualità e la genitalità, sull’affettività nel senso più nobile e alto, in una formazione delle coscienze che è vitale: esercizio della carità della verità (cf Ef 4,15). Poi, indiscutibilmente, c’è anche l’accoglienza, l’accompagnamento delle persone, nessuna esclusa per nessun motivo (cf Mc 10,27), con comprensione e saggezza che non significano condivisione, ma un camminare insieme nella realizzazione del disegno di Dio e non degli scarabocchi proposti dagli altri o pensati e desiderati da me. Sempre di più confermati che: “Il Signore è lo Spirito e dove c’è lo Spirito del Signore c’è libertà” (2 Cor3,17).
Siena, 13 febbraio 2025 – Memoria del b. Giordano di Sassonia, O. P.
P. Bruno, O. P.